Parenti Serpenti(1992), di Mario Monicelli, è il miglior film sul Natale in assoluto, non solo per quanto riguarda l’Italia. Dimentichiamoci tutti quegli stucchevoli film natalizi confezionati per piacere ai bambini o, meglio, per compiacere i loro genitori, sicuri di avere la coscienza a posto nell’aver rassicurato i propri piccoli sull’esistenza di Babbo Natale. Ce ne sono tanti. Un attimo, non ce l’ho per forza con i film natalizi, alcuni dei quali sono di una bellezza unica, come La vera storia di Babbo Natale(1985), dolce e, allo stesso tempo, critico nei confronti del consumismo(con un Dudley Moore strepitoso), così come Mamma ho perso l’aereo, che nasconde un cinismo di fondo(può una mamma dimenticare il proprio figlio a casa, nella confusione. Per non dimenticare S.O.S Fantasmi, che ripropone in chiave contemporanea il capolavoro di Charles Dickens, Racconto di Natale. Di ottimi esempi ce ne sono, eccome.
Ma Parenti Serpenti è il migliore. Io ho un rituale: ogni anno, poco prima di Natale, lo riguardo; è una sorta di rito propiziatorio, così come un monito verso me stessa, pensando di non voler mai essere come i protagonisti di questo film. Esorcizzo delle paure inconsce. Chi sono i protagonisti? Al centro della storia c’è una famiglia italiana, con origini abruzzesi, che si ritrova unita per le feste natalizie a Sulmona. Due anziani coniugi, Saverio(un indimenticabile Paolo Panelli) e Trieste (Pia Velsi, ottima nella veste di matrona/massaia che dispensa saggezza e anche un po’ di saccenza non richiesta), accolgono i loro quattro figli con le rispettive famiglie, nella loro vecchia casa di Sulmona, dove sono cresciuti tutti. Arrivano tutti: Alessandro vive a Modena con la schizzinosa Gina (una Cinzia Leone credibile e divertentissima); Milena(la compianta Monica Scattini, forse l’interpretazione più debole è la sua) arriva da Roma col marito(ma non hanno figli e lei ne soffre tanto); da Como giunge Alfredo (Alessandro Haber), insegnante single(ma poi verrà fuori che non è esattamente così). Infine, c’è Lina(Marina Confalone, la migliore interprete di questo film), che arriva con il marito Michele(Tommaso Bianco, specializzato in ruoli viscidi) e il figlio Mauro, il narratore del film, disincantato e perennemente a disagio, soprattutto per come si evolve la situazione familiare per tutto l’arco delle vacanze natalizie.
Non vi sto a raccontare tutta la storia, ma questi protagonisti si amalgamano benissimo, per arrivare al climax finale, quel finale che nessuno di noi avrebbe voluto vedere e che mette i brividi, perché va a stuzzicare il potenziale lato peggiore di tutti noi, che, anche se non faremmo mai certe cose, non possiamo definirci totalmente immuni dalle nefandezze, che rischiano sempre di esplodere. Non farò spoiler, nel caso qualcuno non avesse avuto ancora la fortuna di vedere questo film. Però ancora non vi ho detto perché sia il miglior film di Natale: perché parla di tutti noi, noi italiani soprattutto. Entro nello specifico di questo perché e lo farò per punti:
- viene messa a nudo l’ipocrisia dell’unione familiare. Nel film tutti apparentemente si vogliono bene, fanno tutto insieme(pranzi, cene, andare a messa, passeggiare, giocare a palle di neve, giocare a tombola), mentre dentro ognuno di loro sono pronti a esplodere il risentimento, i fastidi mai confessati, le storture e i rancori della vita. Ci mancava solo l’occasione giusta e nonna Trieste la offre su un piatto d’argento, anzi, sulla tavola imbandita a festa, il giorno di Natale.
- viene sottolineato l’imbarazzo che si prova nel ricevere regali inutili. “Non sai quanto possa essermi utile questa penna” afferma Michele, con un malcelato disgusto nell’osservare il suo regalo
- il contrasto tra l’andare in chiesa e mostrarsi credenti devoti e, prima di entrarvi, parlare male della gente che si incontra nel paese
- la bruttezza del vivere in provincia, dove sei costantemente sotto gli occhi di tutti, pettegoli per hobby che ti etichettano a vita per il tuo status sociale o stile di vita (l’esempio dell’avvocato Colacioppo o del trio gay capeggiato da “La Fendessa”). Lo so, odio la provincia italiana e forse ciò traspare, non posso farci niente e Monicelli pare fosse d’accordo con me.
- il cinismo di Mario Monicelli e ho detto tutto.
- il disagio dei due ragazzini, non tanto quello prevedibile della scazzatissima Monica (adolescente che sogna di fare la ballerina in tv e non avrebbe nessuna carta in regola per farlo, perché ha “un culo che fa provincia”), quanto quello di Mauro, che vuole davvero bene ai nonni e, pur avendo capito che qualcosa non sta andando, se ne sta in disparte con sommessa disillusione
- lo squallore dei veglioni di Capodanno, costosi, brutti e inaccessibili, come quello di Rudy De Cesaris(musicista e animatore di feste anche nella realtà), a cui partecipano tutti i “vip” del paese (l’ho messo tra virgolette e vi assicuro che nelle realtà di provincia c’è gente che si sente vip, senza esserlo minimamente)
- il realismo di come viene raccontato il tutto. Ognuno di noi si sente parte del film.
- lo scegliere l’Abruzzo come simbolo della realtà di provincia chiusa, mediocre e sonnolenta, senza essere mai drammatica- perché troppo statica- tipicamente delle zone del Centro – Sud Italia(Abruzzo, Molise, Ciociaria, Irpinia, Ascolano). Un Paese della provincia della Bassa Padana avrebbe avuto un’altra atmosfera, più spensierata e godereccia, ad esempio, e non sarebbe stata in linea con gli intenti del regista, idem se fosse stato un paesino della Toscana.
- Marina Confalone incarna qualcuno che sicuramente conosciamo o abbiamo conosciuto tutti noi, almeno una volta nella vita
- il finale cattivissimo
E pensare, poi, che la prima volta che vidi questo film, in tv e nel Natale del 1995, ero coi miei genitori e i miei nonni materni, che, ai tempi ancora vivi entrambi( 😦 mio nonno se ne è andato prematuramente nel 1996 e mia nonna nel 2004), dopo la fine del film dissero, rivolti a me e ai miei genitori: “Non è che farete così anche con noi?”
Brividi doppi.
Buone Feste!