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Avere sete di informarsi non è morbosità, ma è amore per il sapere, nel senso di sapere che cosa accade magari non molto lontano da noi, dal luogo dove viviamo. Sapere e provare, al contempo, un’emozione incontrollabile, perché conoscere equivale anche a emozionarsi.
Con questa premessa nonché approccio, anche questa volta ho guardato tutte le puntate de I dieci comandamenti, particolare trasmissione di Rai 3, condotta dal giornalista molisano Domenico Innacone. Complice un raffreddore e il timore di avere l’influenza, domenica sono stata a casa tutto il giorno e ho recuperato su Raiplay le puntate del 2018 che mi mancavano, traendo, così le mie conclusioni: la trasmissione è migliorata, non solo per gli argomenti trattati, ma anche per il tono con cui vengono raccontate le storie. Nonostante si parli spesso dei disagi del nostro Paese nonché delle persone che vivono ai margini della società, non c’è mai retorica né compiacimento né didascalie e, soprattutto, non si parla di certe realtà con atteggiamenti distaccati e privi di sensibilità.
Sono diverse, infatti, le trasmissioni che, nel corso del tempo, parlando del popolo e, spesso, degli ultimi, si sono poste con arroganza non nei confronti degli intervistati, ma del pubblico, quasi come per dire agli spettatori: “Vergognatevi della vostra eventuale posizione media/benestante/privilegiata e guardate chi muore di fame, chi non ha una cosa o chi viene da lontano”. No, tutto questo non è presente, non è fatta per trasmettere sensi di colpa, perché la sensibilità e il tatto che Domenico Iannacone ha nel raccontare le storie è quella di un fratello o figlio che va a trovare i familiari o amici e ce li fa conoscere. Per certi versi mi ricorda Joe Marrazzo, il mio giornalista preferito di sempre. Il passo avanti de I dieci comandamenti è quello di aver perso il tono pasoliniano (sarà che non amo Pasolini, ma non è il momento di spiegare il perché) delle altre edizioni e di essere diventata una trasmissione unica e, soprattutto, umana.
L’umanità, filtrata da Iannacone, diventa realtà e poesia al contempo e noi la guardiamo, la respiriamo, fino a commuoverci non provando una certa pietà, ma toccando con le corde dell’anima quello che vediamo. Ed ecco che:
1. la storia di un ex carcerato romano che diventa attore e volontario che aiuta i più deboli ce lo rende speciale ai nostri occhi, pur riconoscendo che quella persona ha sbagliato e ha giustamente pagato per i suoi errori.
2. una preside che si batte contro la dispersione scolastica in Campania ci fa desiderare di averla accanto come una seconda madre e di andare nella scuola da lei diretta solo per imparare la conoscenza e la vita giusta insieme a ragazzi che finirebbero, altrimenti, nella mani della malavita.
3. un bambino calabrese guarito da un tumore mostra la sua forza e spontaneità ogni volta che va a Roma a fare i controlli, dopo 7 ore di macchina. Si piange tanto.
4. dei carcerati che fanno teatro per non morire dentro rinascono fuori, senza vergognarsi della propria voglia di riscatto.
5. delle persone, soprattutto italiane, che vivono sotto i ponti, in macchina o nelle case container lottano per non soccombere alle ingiustizie e alla vita.
E così via…
Guardare questa trasmissione è come partecipare a una seduta di psicoterapia collettiva, che ti riporta al mondo dandoti una forza speciale, da utilizzare nei tanti momenti “no” che ognuno di noi ha.
E ora voglio nuove puntate. Per informarmi, imparare ed emozionarmi. Ancora.