
Baby è finita. Sì, la serie di Netflix ispirata liberamente alla vicenda delle baby prostitute dei Parioli di Roma si è conclusa con la sua terza stagione. E per fortuna. Per fortuna, sì. Perché è stata una serie sostanzialmente brutta, piena di buchi in una trama che pareva inconsistente, tra i dialoghi sussurrati degli adulti e le parole biascicate in mezzo romanesco dai ragazzi. Soprattutto, non sembrava nemmeno parlare dello squallore di minorenni che vanno con vecchi porci solo per comprarsi il vestitino firmato. Non si avverte il torbido, non si prova schifo, perché non si percepisce nulla della vicenda che narra. Forse perché non si vede degrado(perché tutto si svolge nei quartieri “alti”), non significa che si parli di degrado? Degrado morale, poi, peggio del peggio.
Non racconto la storia né faccio spoiler, ma voglio concentrarmi su altro; per la precisione sul perché, pur trovando davvero ignobile questa serie, alla fine le ho messo il pollice alzato. Non soffro di contraddizioni, è proprio così: pollice alzato. Perché? Perché dei lati positivi(anzi, di più) ne aveva, eccome.
- una fotografia bellissima, perfetta, precisa, con scenari e inquadrature che rasentavano l’opera d’arte.
- colonna sonora eccezionale
- scelta di inserire una canzone ogni due minuti
- le canzoni fanno parte soprattutto del panorama indie dal 2010 in poi e non solo(ci sono anche gli Afterhour con Non è per sempre, del 1999)
- la serie migliora con la terza stagione e gli ultimi due episodi hanno un’atmosfera speciale
- Riccardo Mandolini è sempre accigliato