Rock sì, ma senza etichette: intervista a Grand Guignol Diabolique

La copertina del disco Lingua (volume 1)

Viene da Bologna, è un one man band e di esperienza musicale ne ha tanta, tantissima. E ce la racconta in questa lunga intervista, in cui Franco Turra(il nome di chi è dietro a tutto) si apre per raccontarci la sua musica e ciò che pensa di quella di oggi(ma anche di certa del passato), che, secondo lui, avrebbe bisogno di una bella dose di “FrankZappalin”(scoprirai cos’è nel corso della lettura)

Domanda semplice semplice: chi siete? Parlate di voi!

Chi siamo me lo domando sempre anch’io. In realtà chi sono, visto che “Grand Guignol Diabolique” è una one man band da sempre, perché già quando è partito il progetto (nel 2008), è nato sulle ceneri della mia ultima vera band, che si chiamava Beat Babol. Tornando alla tua domanda, io mi chiamo Franco Turra, sono di Bologna e faccio tutto da solo praticamente in tutti e 5 i CD che i GGD hanno realizzato (come vedi parlo al plurale dei GGD, perchè per me è comunque una band!), dal 2008 a questa parte. Qualche volta ci sono preziose collaborazioni (specie nelle parti soliste) e mi piacerebbe ce ne fossero anche di più, ma non è facile trovare le persone adatte. E comunque di quelle poche occasionali io ne faccio sempre tesoro, sia ben chiaro.  Piccola storia dei GGD: nasce ufficialmente solo nel 2008, ereditando anche diversi brani che coi Beat Babol ho eseguito negli ultimi concerti, l’ultimo dei quali nel 2005. L’album, quasi ultimato, sarebbe anche uscito prima del 2008, ma la rottura dell’hard disk che lo conteneva mi costrinse a rifare quasi tutto da capo, per cui anche per dare spazio a un altro mio progetto che si stava materializzando, si finì per farlo uscire solo nel 2008 e già col nuovo nome “Grand Guignol Diabolique”. E anche l’album si chiamò così. Sempre inframezzando altri miei progetti musicali, nel 2011 é uscito II (come vedi, titoli, almeno quelli, molto tradizionalmente rock… hehehe), seguito nel 2013 da un E.P. dal titolo Di tutte quelle morti e, tra la fine del 2014 e inizio 2015, Export Diabolique, la cui particolarità è che era cantato per la prima volta interamente in inglese, a differenza dei precedenti 3 CD, che erano tutti cantati in italiano.

Non c’è dubbio alcuno su cosa tu sia: rock, in un mondo musicale attuale(almeno italiano) in cui si tende al grande ritorno al cantautorato e a una evoluzione dell’elettronica, tu arrivi con il rock(ho ascoltato tutti i tuoi lavori). Posso dire che ce ne era davvero un bel bisogno? Questo per portarti alla domanda: perché hai scelto il rock, parlando, tu stesso, di “progetto suicida”? Non sei troppo brutale con te stesso?

Il fatto di essere brutale con me stesso penso sia una cosa estremamente positiva. Il ritorno al cantautorato di cui mi racconti per me è un’ennesima cazzata micidiale (scusa il francesismo) perché, se si intende il cantautorato italiano degli anni ’70, penso che (salvo rari casi) abbia fatto più danni della grandine, generando l’ignoranza musicale che ha fatto sì che il nostro Belpaese sia sempre rimasto indietro anni luce rispetto a tanti Paesi. Per me la musica è un mix calibrato di note, armonie e parole, l’una al servizio delle altre e viceversa. Non che una cosa prenda il sopravvento, perché, allora, è come un castello di carte e lo sbilanciamento da un senso o dall’altro fa crollare tutta la costruzione. Forse sono troppo estremista? Non credo. Se guardiamo i tanti grandi esempi del passato, questo delicato equilibrio che sempre ricerco è presente in migliaia di capolavori almeno. E non mi sento affatto un nostalgico, solo uno che è in grado di distinguere una cosa originale e ben fatta da una cosa banale anche se super confezionata bene, a prescindere dal periodo in cui viene realizzata. Sì, adesso tutto ha suoni molto particolari e di grande qualità sonora rispetto al passato, quando magari c’erano solo strumenti a corda, a fiato o percussioni e bisognava fare tutto a mano, ma avevano l’unica cosa che può fare veramente la differenza: LA TESTA, LE IDEE, che ormai è diventata roba rara e non capisco perché. 😉


Per quanto riguarda l’elettronica, non l’ho mai considerata un genere. Solo un’espansione della paletta musicale. Per me è stupido considerarla un genere. Allora GGD è un genere “chitarristico”, visto che lo strumento principale sono le chitarre? E gli “Earth, wind & fire” facevano musica “fiatistica”? LOL. Io ho iniziato a suonare verso metà anni ’80, quindi nel pieno boom dell’elettronica, intesa con l’utilizzo di sintetizzatori (che prima erano fuori portata dei non professionisti), campionatori, batterie elettroniche e quant’altro. Quindi, da sempre, ne faccio un uso smodato, ma sempre e soltanto al servizio della canzone. Tornando alla tua domanda (come vedi sono uno che esce spesso dal seminato!), per i GGD ho scelto la musica che più si avvicinava all’idea di esplorare le sensazioni, le pulsioni, i sentimenti in modo viscerale. Cosa che solo il rock può fare. Le chitarre, specie se elettriche, sono (con il loro sferragliare) l’ideale per veicolare certe sensazioni, per letteralmente far vibrare le corde della nostra mente all’unisono con le corde della chitarra stessa. Poi (e spero converrai con me), comunque non è che GGD sia proprio un genere rock classico… Diciamo che è la definizione che va meno stretta, anche se capisco che le definizioni siano necessarie. Perdonami, ma ho sempre odiato le etichette, pur sapendo che ci devono essere per comodità 😉


Considero GGD un progetto suicida perché vedo tanta ignoranza e tanto disinteresse per la musica in generale. Per il rock soprattutto, considerato come una bestia preistorica, quando invece “la massa” considera roba tipo hip hop, rap, trap o la musica elettronica come il “genere” moderno… Bubbole ovviamente, ma lasciamoglielo credere. Penso seriamente che il processo di de-musicalizzazione della musica si sia compiuto, indi per cui chiunque provi a fare cose intelligenti o anche solo un po’ complicate, è un aspirante suicida. Io sono felice di fare parte di questo club dei suicidi e non cambierei mai, perché io mi considero un partigiano impegnato nella resistenza! 😀  Io nasco e morirò da ribelle. Rock on! LOL

La copertina di II

Il tuo lavoro, Lingua (volume 1), metà in inglese e metà in italiano, si impone come un rock sanguigno che non disdegna un filino di psichedelia: cosa detta di più le tue scelte stilistiche? Inoltre, sono curiosa di sapere perché hai scelto di cantare sia in italiano sia in altre lingue?

Le scelte stilistiche non sono quasi mai studiate a tavolino. Il mio modo di comporre è molto poco scientifico e molto dettato dagli astri. In genere parto da un titolo. E questo titolo mi comporta un’idea di una storia o anche solo di una sensazione o di un disagio che sento attorno a me; insomma qualsiasi cosa. Poi, (questo specie per quanto riguarda i GGD), mi metto alla chitarra e comincio a inventarmi un riff o un giro di accordi e ci canto sopra. E, grazie a Dio, questo modus operandi abbastanza random e anarchico funziona quasi sempre. Altre volte, una piccola melodia mi può anche venire mentre sto facendo altre cose, così la registro sul cellulare e poi, quando è il momento, la registro col computer, aggiungendo gli strumenti. Lo stile che ne viene fuori varia a seconda di quello che voglio esprimere in quella canzone. Poi GGD per me è SANGUE. Il sangue che ribolle, o almeno dovrebbe ribollire in ognuno di noi per farci sentire vivi. Non necessariamente rabbiosi o cattivi, ma gente che ha voglia di mordere la vita e farsi mordere anche dalla vita. Che è una sola e vale sempre la pena di viverla intensamente. No?


Per Lingua, sin dal momento della scelta del titolo, sapevo che non volevo tornare a cantare esclusivamente in italiano (anche se mi diverte di più, se non altro perché non devo preoccuparmi tanto delle pronunce) e neanche continuare a cantare solo in inglese come in Export Diabolique. Infatti ho “non scelto”, chiamando “Lingua” il CD, proprio per chiarire che è un album multi lingua, infatti ci sono (contando anche i brani del volume due a cui sto lavorando adesso) 5 pezzi in inglese, 6 in italiano e 1 in francese, che sono poi le lingue che uso di più nei miei vari progetti musicali presenti e passati e forse anche futuri. Purtroppo, è indubbio che se si canta in italiano, specie questo genere, la potenziale audience si riduce drasticamente. Per non dire del tutto. Ma sia ben chiaro che io amo il mio paese e anche la lingua italiana, che mi sforzo di onorarla nel modo più musicale possibile lasciando ad altri il compito di maltrattarla.

Che ne pensi della musica italiana indipendente in circolazione?

Qui sarò brevissimo. Penso che non sia per niente indipendente. Una volta il termine “indie” poteva avere un senso. C’erano le major, le grosse case discografiche super potenti che muovevano il business miliardario. Poi c’erano le piccole realtà che proponevano (anche) lavori coraggiosi, che a loro modo sfidavano il mainstream. Quindi chi non era sotto contratto con una “grande etichetta discografica” poteva considerarsi “indie”. Adesso non c’è più un cazzo (scusa l’ulteriore francesismo). Sì ci sono ancora un pò di major. Sono i famosi poteri forti delle multinazionali, che trattano la musica alla stregua delle sigarette o degli abiti o di qualsiasi altro bene di consumo ed esercitano il loro potere anche superficialmente, sapendo che il mercato o quello che resta è nelle loro mani e possono fare il bello e il cattivo tempo sia con i cosiddetti “artisti”, sia con la massa di pubblico di pseudo-appassionati o semplici consumatori. Ma stiamo parlando di briciole, rispetto al passato. Quindi il termine “indie” che va tanto di moda negli ultimi 20 anni circa è solo un modo per definire tutto il pantagruelico calderone che non è gestito dalle major direttamente e quindi non è proprio la roba iper super commerciale da centro commerciale e radio nazionali. Solo che definirsi “indipendenti” fa figo ed “indie” è magicamente assurto a vero e proprio genere musicale. Assurdo, no?  E allora viva la globalizzazione. Siamo tutti indie. Siamo tutti elefanti inventati [cit.] e siamo tutti nella stessa barca. Così, io che mi sono sempre considerato “indipendente”, nel senso che non dipendo da nessuno per fare la mia musica, e per questo sono stato “bollato” come inaffidabile o persona troppo poco malleabile, ora mi ritrovo “indie”. Sono consapevole che ci siano tantissimi “indie-pendenti” nel mondo e anche molto di talento. Che lottano per le briciole. E questo mi mette molta tristezza. Forse è una questione di essere “più indie” o “non abbastanza indie”? Personalmente trovo tutta la questione molto buffa. Diciamo che seguivo di più l’evoluzione di tutto ciò fino al 2008, perché lavoravo in un negozio di dischi per vivere. Da allora le cose sono molto cambiate e non solo perché quel negozio, come tanti, ha chiuso… 😀

Ora siamo alle domande “personali”: quali sono i cantanti/band che preferite di più, sia italiani sia stranieri?

Oddio, qui dovrei farti un elenco enciclopedico! Mi limito a dirti che le mie influenze musicali sono tra le più disparate. La colpa (perchè di colpa si tratta) di avermi fatto venire voglia di diventare “uno che scrive canzoni” è sicuramente dei celeberrimi Beatles. E resta sempre la mia più grande ispirazione a tutt’oggi. Poi ti cito quelli che forse (più o meno consciamente) influiscono o abbiano influito a livello di gusto personale sulla musica dei GGD. Soundgarden e Chris Cornell, gli Who, Led Zeppelin, Nirvana, Qotsa, Jeff Buckley, Foo Fighters, Xtc, Paul Weller e i Jam, David Bowie, i Beach Boys, Jimi, i Rolling Stones, Serge Gainsbourg, Stevie Wonder, i Japan e David Sylvian, Rufus Wainwright, Peter Gabriel e potrei andare avanti ore.

E pur non essendo mai stato un suo fan, vorrei tanto far riesumare la salma di Frank Zappa e clonare il suo DNA. E renderlo obbligatorio come vaccino. Qualche goccia di “FrankZappalin” e tutti tornano ad apprezzare quello che la musica e l’arte tutta rappresenta per l’umanità. Un valore aggiunto, anzi aggiuntissimo. Capace più di qualsiasi altra cosa di farci volare con le ali della fantasia, le uniche per noi bipedi non piumati. Da quel poco che ho sentito, infatti, Frank Zappa era “musica a 360°, 24/24”. Non ho mai visto nessuno così appassionato e dedito alla musica, così eclettico e originale, capace di spaziare tra tutti i generi con una facilità e bravura impressionante. E culturalmente assai sopra la media, soprattutto se comparato alla media dei bui tempi nostrani 😀 Da parte Italiana, posso dirti che mentre lavoravo nel negozio di dischi ho scoperto due assoluti eccelsi talenti musicali del passato che non avevo mai particolarmente considerato in fase di formazione. Vale a dire Luigi Tenco e Lucio Battisti. Anni luce davanti a tutti. Dei vagamente contemporanei cito gli Afterhours, i BluVertigo e Morgan e soprattutto Elio e le storie tese, che molti considerano dei buffoni o semplicemente dei burloni, ma sono dei geni nel riuscire a creare cose complessissime a livello musicale facendole sembrare canzoncine goliardiche. E soprattutto impedendo il fenomeno delle cover band. Non ci sarà mai una cover band di EELST, perché nessuno riuscirebbe a suonare quelle canzoni senza fare la figura del cioccolataio. E poi l’ironia anche per me è una cosa importantissima a livello dei testi. Anche se la mia idea di ironia è più beffarda e meno palese, ovviamente. Ma ti assicuro che c’è. 😉
Scusa se mi sono dilungato. Le interviste non sono mai state il mio forte. Perdo il senso del tempo. Grave per un musicista. Ciao e a presto!

I link per conoscere Grand Guignol Diabolique

Facebook: https://www.facebook.com/grandguignoldiabolique

Instagram: https://www.instagram.com/grandguignoldiabolique

Bandcamp: https://grandguignoldiabolique.bandcamp.com/

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