“Aggretsuko”, la migliore serie sulle ansie sociali

Cinque stagioni da dieci episodi l’una, con una qualità che va in crescendo. Questa è Aggretsuko, una serie animata molto kawaii, ma destinata a un pubblico di adulti. Possibilmente (non) stressati

Può una pupazzetta animata dalle fattezze di un panda minore muoversi in una Tokyo popolata da altrettanti animali, tutti buffi e kawaii ed essere il simbolo delle donne di oggi e del perenne peso delle aspettative della società? Sì e Aggretsuko sembra davvero essere la serie definitiva in grado di trattare -senza superficialità- tematiche come il lavoro, le relazioni, le pressioni sociali e un certo spaesamento dei tempi di oggi, impregnati tra vita quotidiana e virtuale, sogni disattesi e speranze misti a insoddisfazioni, ansia, stress e mal di vivere.

Un Giappone che sembra il mondo intero

Di che cosa parla, innanzi tutto, questa serie della Sanrio (sì, quella di Hello Kitty) e realizzata da Netflix? In breve, senza spoiler: Retsuko, 25 anni circa, è un’impiegata nella sezione contabilità di una grande azienda. Pur essendo molto brava e scrupolosa nel suo lavoro, vive nella costante ansia di non essere all’altezza delle aspettative di un capo vecchio stampo (che, dall’aspetto di un maiale, è simile a tanti veri capi) e osservata costantemente da colleghi non sempre amorevoli o pettegoli. Insomma, Retsuko sente di non essere soddisfatta della sua esistenza, anche perché non ha (ancora) assecondato le aspettative familiari, ossia quelle del “sistemarsi” con un fidanzato. E comunque lei vorrebbe un amore sincero, non di facciata. Nonostante tutto ciò, Retsuko rimane sempre gentile, calma, disponibile e sempre pronta al sorriso, pur di non deludere nessuno.

Eppure, questo atteggiamento non le fa bene e la porta ad una precisa valvola di sfogo: chiudersi in una sala karaoke e cantare, fino a sgolarsi, canzoni di death metal, durante le quali il suo faccino tenero si trasforma in una maschera diabolica, assatanata e la sua voce è peggio di quella del cantante degli Slipknot. Perché, dentro di sé, la giovane pandina cova rabbia. Tanta rabbia. Tant’è che la rabbia è la sua vera voce interiore.

Ciò che sorprende di questa serie è che, se togliamo tutti gli elementi tipici giapponesi, tra abitudini e scenari della Tokyo odierna, sembra che, arrivando al nocciolo della questione, si parli non solo della società nipponica, ma del mondo intero vissuto dagli Xennial (nati tra gli anni 70 e i primi 80) fino alla Gen Z e che non riconosce se stesso nel sacrificio e nell’annullamento di sé per la soddisfazione sociale, aspetto in cui hanno ben sguazzato i boomer (e che proprio questi ultimi vogliono ancora imporre alle generazioni successive). C’è vita oltre lo stress, ci sono le relazioni, le amicizie, gli hobby e la voglia di sentirsi anche semplicemente persone.

Haida, il finto pavido

Un personaggio si distingue nella serie, a parte Retsuko, ed è Haida, collega licaone della pandina e perennemente frustrato, ai limiti del pavido. Incapace di dire di no nonché di riuscire a comunicare i suoi veri sentimenti nei confronti di Retsuko (ma non dico altro), bilancia la sua vita da impiegato con la passione del suono del basso e il gioco ai videogame. Per quattro stagioni, Haida non fa praticamente nulla per riuscire a cambiare la sua vita, ma poi, alla quinta ed ultima, si riscatta totalmente, fino a diventare il vero elemento capace di portare quel cambiamento sociale all’interno della serie, anche affiancando Retsuko in situazioni inaspettate nonché metaforiche di una contemporaneità che rischia di venir giù come un castello di carta.

Perché è davvero la migliore serie sulla società contemporanea?

Perché riesce, innanzi tutto, a bilanciare tematiche ansiogene e stressanti con situazioni, espressioni e musiche buffe. I personaggi mostrano spesso facce divertenti, perché spaventate o stupite e, quindi, si riesce anche a ridere tanto. Ma, in fondo, si ride di noi, perché quegli animaletti siamo noi contemporanei, che viviamo schiacciati da aspettative sociali e stufi di doverle soddisfare.

Inoltre, non è una serie che propone vere soluzioni, perché la soluzione migliore dobbiamo sempre trovarla in noi, cercando davvero di fregarcene di tutto. Aggretsuko non è e non vuole essere una mega seduta di psicoterapia, come la statunitense Bojack Horseman, ma una realtà sbattuta in faccia, in chiave allegorica e nemmeno poi così tanto.

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