2 agosto 1980: una strage di tutti noi

No, non parlerò di politica o di teorie trite, ritrite e così STRASCRITTE. Per la verità deve pensarci lo Stato, che deve impegnarsi per restituire dignità alle vittime e a noi come cittadini.

Certamente non io, che sono meno di nessuno. Però del mio incontro con Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione familiari delle vittime della strage di Bologna, voglio parlare.

1980.

È questo l’anno scritto sulla mia carta d’identità. L’anno della mia nascita, bisestile. Non potevo nascere in un periodo migliore, insomma. Proprio perché quell’anno è la mia vita, perché ne è stato l’inizio, vi è in me un’innata esigenza di verità, perché pesa come un macigno, su di me. È una sensazione strana e sono cose che mi porto dentro e non tutto può avere per forza una spiegazione.

Dopo anni e anni(ho iniziato a occuparmi definitivamente di terrorismo, solo a fini di cultura personale, nel 1990, a 10 anni, anche se già da prima seguivo tg e speciali in merito e leggevo giornali che ne parlavano; ma guardavo anche i cartoni animati, ovviamente. Ero una bambina normalissima) in cui, per l’inspiegabile esigenza di cui sopra, non ho mai smesso una mia personale ricerca, una idea me la sono fatta sui mandanti, ma non la riporto certamente su un blog. Alla mia teoria ci saranno arrivati in tanti e, se io non ho alcun potere né autorevolezza per farlo, chi sa non ha detto nulla o ha fatto solo rivelazioni parziali oppure ha cambiato una verità troppo forte per un Paese squarciato in una normale mattina d’agosto.

Ho già ricordato quella strage, attraverso un mio racconto, in omaggio per chi legge questo blog. Un racconto che parla di quella strage, attraverso i pensieri di un personaggio inventato, ma che poteva essere chiunque.

Chissà quanti di noi hanno un qualche legame con quel 2 agosto 1980. Io non ne ho uno diretto, ma un’amica di mia madre di allora doveva tornare nelle Marche proprio in treno e quella mattina, ma poi le aveva dato un passaggio in macchina il fidanzato; l’ex parrucchiera di mia mamma aveva lasciato il bagaglio custodito in stazione e se ne era andata in giro, quella mattina, perché alla stazione di Bologna era arrivata troppo in anticipo. Lei era sopravvissuta, per fortuna, ma il suo bagaglio no. Anche per me l’agosto del 1980 fu piuttosto brutto: ero finita in ospedale per una forte disidratazione con febbre alta per il troppo caldo e guarii del tutto andando dai miei nonni materni a Senigallia.

L’incontro con Paolo Bolognesi

Oltre alla mia succitata sete di verità, c’è qualcosa che, qualche anno fa, precisamente nel 2013, mi ha fatto toccare con mano quella strage, a livello umano: parlare e stringere la mano di Paolo Bolognesi, il presidente dell’associazione dei familiari delle vittime della strage del 2 agosto 1980. Ai tempi facevo parte di Libera, la rete di associazioni per la legalità e lui era stato invitato a piantare con il mio “presidio” di Libera(i circoli si chiamano così, perché sono presidi continui di legalità) un albero per ricordare le vittime delle mafie e del terrorismo. Il luogo era il giardinetto di Piazza Sempione, a Roma. Alla fine della mattinata, siamo andati a salutarlo e tutti gli hanno stretto la mano, silenziosamente. Poi sono arrivata io che, come un’impedita, gli ho semplicemente detto: “La verità è vicina, me lo sento”. Non potevo tirar fuori una considerazione più banale di quella, ma lui non la trovò così banale. Mi strinse ancora di più la mano e mi sorrise, dicendomi: “Speriamo, davvero”. Poi ci era venuto incontro, per parlare con qualcun altro di noi, perché non voleva ancora andare via. Ricordo come fosse ora il calore di quella stretta di mano.

La stazione di Bologna e quel perenne senso di soffocamento nella sala d’attesa

Alla stazione di Bologna, dopo la strage, sono andata diverse volte: nel 1985, nel 2006 e nel 2019 e tutte le volte, in quella sala d’attesa, seppure ricostruita e con la lapide che ricorda le vittime e il cemento steso nel punto in cui si era creato il cratere dell’esplosione, ho sempre avvertito una sorta di soffocamento, un peso strano, come se qualcosa mi volesse opprimere. Una materialista atea come me non potrebbe mai credere che via sia la “presenza” di quelle vittime in una forma incorporea, ma la suggestione è quella.

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