
Francesco Patanè, classe 1986, nato e cresciuto a Roma, ma con le origini in Sicilia (terra che porta nel cuore), racconta la sua arte in questa intervista, tra infanzia, asfalto, iuta e Basquiat.
Ciao, Francesco, ti va di raccontare come sei diventato un artista?
Sono diventato artista da adulto, ma sin da piccolo sono cresciuto nell’arte: mio zio era artista, mia madre modellista e mi hanno dato modo di immergermi nei colori, negli odori e, successivamente, nel mondo che ne fa parte. Ho iniziato da piccolo con il realizzare di tegole (coppi) dipinti a mano per puro guadagno con paesaggi e colori della mia Sicilia. È solo dopo i 20 anni che ho iniziato ad esporre grazie ad un artista/gallerista, che, vedendo il mio primo vero quadro, un paesaggio del porto di Aspra, dalle misure notevoli, 200×5, che volle farmi esporre da lui. Da lì in poi, ho prima iniziato con paesaggi realistici, dai colori accesi sempre a richiamare i colori della Sicilia, fino ad arrivare allo stile di oggi dopo uno studio approfondito sulla materia prima.
Ho avuto modo di “assaporare” con i miei occhi le tue opere (alla tua mostra Imperfection is Beauty di Roma) e il tuo peculiare “asfalto su iuta”. Vorrei che tu parlassi un po’ di questa tua tecnica, ma, soprattutto: che cosa ti trasmette e perché l’hai scelta?
Da sempre ho amato il materico dei colori, dei materiali, frutto anche degli insegnamenti, forse, sia di mio nonno che di mio padre, uomini legati alla terra, tanto che ho sempre utilizzato anche lo spatolato. È per questo motivo che poi, man mano che sono andato avanti, ho scoperto la juta: fare il telaio da zero, tirare la tela e dargli l’imprimitura anche quando è pronta per iniziare l’opera già essa è un’opera, mai liscia, mai uguale, diversa l’una dall’altra, la reazione si ha solo quando si asciuga l’imprimitura, è bellissimo per me. Così come l’asfalto il suo nero intenso, diverso da qualsiasi altro nero, la sua densità ed elasticità mi permette di guidarlo nella colatura… Tutto questo a me dà il senso della libertà, per la realizzazione, per far emergere un’opera, per trasmettere me stesso su ogni tela.


Tu hai esposto in giro per il mondo e hai avuto modo di conoscere tante realtà e modi di approcciarsi nei confronti degli artisti. Al di fuori dell’Italia, qual è stato il Paese (o città) con cui hai sentito un legame o un trasporto speciale e unico?
Forse, anche e soprattutto perché è il mio sogno nel cassetto, New York. Anche se penso che, più di esporre, bisognerebbe vivere il posto per poi dire quale sia il migliore, viverlo per le strade, respirarlo e lasciarsi trasportare per poi iniziare a lavorare, con la semplice esposizione non credo si possa stabilire quale sia il posto migliore tra tutti quelli in cui ho esposto.

Hai degli artisti preferiti?
Sicuramente J.M. Basquiat è quello che più ha aperto la mia mente e rimane tra i miei preferiti, Monet a suo tempo con i paesaggi mi incuriosiva tantissimo, Guttuso, Picasso… sono stato collegato per stile a Pollock e a Schiele, ma non penso che esista un mio preferito, per un amante dell’arte per ogni stile diverso si ha una preferenza, ma ripeto, forse per apertura, anche se non c’entra nulla il mio stile, Jean Michel Basquiat è il mio preferito.
Link per conoscere meglio Francesco Patanè
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