
Con questo articolo corro il rischio di inimicarmi tante persone, tra lettori del blog e amicizie/conoscenze che potrebbero leggerlo. Parto da me, fino ad arrivare al perché del titolo di questo articolo. Seguimi fino alla fine e scegli, poi, se odiarmi come io odio il grunge.
La musica ha tantissime sfaccettature, così come, nel corso del tempo, nascono generi nuovi, movimenti, idee, modi di pensare e vivere. Ciò accade perché l’umanità e la sua storia non rimangono mai fissi, ma si evolvono. In tutto questo rientra anche il grunge, movimento musicale (e di costume) che già pone le basi alla fine degli anni 80, ma che tocca il suo culmine nella prima metà dei ’90, fino a trasformarsi in qualcosa di profondamente leggendario con il suicidio di Kurt Cobain, nel 1994, a soli 27 anni, facendolo entrare nel cosiddetto “Club dei 27”, che già tristemente aveva accolto Jim Morrison, Jimi Hendrix, Janis Joplin e, con un balzo in avanti nel tempo (2011) anche la diva soul Amy Winehouse.
Questo movimento musicale, che prende vita a Seattle, negli USA, finisce per far emergere tantissimi artisti e band, come i Nirvana del già citato Cobain, i Pearl Jam del carismatico e sensibile Eddie Vedder, i Sound Garden di Chris Cornell, gli Alice in Chains di Layne Staley, Stone Temple Pilots e altri che non sto ad elencare. In Italia si possono accostare al grunge i Verdena, ma comunque molto alla larga. La caratteristica di queste band è quella di avere un suono puro e grezzo al contempo, in cui il rock è la radice di tutto, con strumenti essenzia li(chitarra, basso, batteria + la voce, ovviamente). Il rock del grunge è molto diverso da quello del passato, ma è alla potenza di quel rock (specie dei primi anni ’70) che guarda, anche se lontanamente. Dischi come Nevermind dei Nirvana o Ten dei Pearl Jam sono l’apoteosi del genere; ma sto semplificando parecchio. A questi suoni si aggiunge anche una certa semplicità nel look dei musicisti, che ispirano una moda che influenza molto adolescenti e ventenni della prima metà anni ’90 (anche i bambini, mai sordi alle mode, se ci pensiamo): camicioni di flanella a quadretti o quadroni, scarponi tipo anfibi, jeans chiari strappati(che però già si usavano, a dire il vero), capelli lunghi per i ragazzi, barba incolta talvolta. Le ragazze a volte portano dei cappelli. Il periodo di grande influenza del grunge si spinge almeno fino al 1997 per quanto riguarda il successo tra i più giovani, con strascichi anche nei primi anni 2000, con band che si rifanno leggermente al succitato genere.
Il grunge è fortemente evocativo, potente, struggente anche, devastante non poco. Tanta adrenalina, voci potenti, forza del rock spogliato di artifici. Fortissimo. A tutto volume è una scarica di adrenalina.
Ma un genere musicale così sarebbe da odiare?
Che cavolo ho scritto nel titolo? Mi sto dando al clickbaiting? No, nessuna incoerenza, perchè il grunge lo odio. Il titolo è esatto. Non si dovrebbe odiare un genere musicale, perché la bellezza della musica è proprio nella sua varietà di sfumature. Il mio odio nasce da tutta una serie di fattori, che proverò a spiegare, perché semplice non è. Partiamo da una contestualizzazione generazionale: il grunge ha fatto breccia nei cuori di almeno due generazioni: la Generazione X (che, solo in questo caso, ha compreso i nati dal 1973 più o meno fino al 1980; quindi la mia generazione) e i Millennial, che, in questo caso, ha compreso persone nate dal 1981 fino al 1985. Queste fasce di età sono state quelle che hanno sentito il grunge come il genere che le ha rappresentate di più. Solo che proprio questa rigida classificazione non è stata solo sulla carta, ma è diventata reale, molto più se pensiamo a tanti generi confrontati con altre generazioni, che potevano scegliere da chi farsi rappresentare.
In questo calderone rigidamente generazionale sono stati assorbiti tanti che dal grunge, pur apprezzandolo, non si sono sentiti minimamente rappresentati. Sono, anzi, siamo (sicuramente), tanti, a sentirci dire: “Il grunge è stato il genere della nostra giovinezza” oppure “Noi che siamo cresciuti negli anni 90 con il grunge”(e prima che facevamo, non esistevamo?) o “La giovinezza è il miglior periodo della vita, quindi il grunge è il nostro genere”(ma è davvero il periodo migliore?). Il peggiore atteggiamento nonché offensivo è: “Ma come puoi preferire la musica degli anni 70 e 80, che non era “tua” o quella di oggi, che fa schifo? Noi siamo venuti su col grunge!”, ma soprattutto: “MA COME PUOI RICORDARE LA MUSICA ANNI 80 SE ERI PICCOLA/O o CONOSCERE QUELLA DEI ’70 (o ’60)?!”. Cxxxo, ma le orecchie le avevamo io e altri che non ci sentiamo rappresentati da ‘sto cavolo di grunge!
Infatti, in quegli anni ’90, così veloci, fugaci, sfuggenti e che di mitico non avevano proprio nulla, proprio per la succitata fugacità, c’è chi ha preferito altro, come continuare a seguire gruppi che già si amavano, esplorare altri suoni(elettronici sperimentali o semplicemente la più cazzarissima dance europea che in quegli anni andava anche al numero 1 in classifica), seguire ancora un certo cantautorato o incuriosirsi per una nuova scena indipendente (italiana, soprattutto, parlando di giovani italiani). “Ma come fai ad ascoltare la dance?”, “Ma non era sparita quella tot band? Ancora fa dischi?” erano le parole che ci si poteva sentire dire al liceo (o magari in facoltà, nelle città grandi), davanti ai sosia provinciali di Kurt Cobain o con la barbetta come Chris Cornell o i riccioli lunghi come Eddie Vedder. Nella mia classe di liceo erano fissati coi Nirvana, tanto da suonarli continuamente durante le autogestioni o da scrivere i nomi dei dischi alla lavagna; così, a buffo. Intanto, se avevi una t-shirt dei Bon Jovi o degli U2 eri da prendere in giro, però se l’avevi dei Nirvana eri figo, magari quella di Nevermind col neonato in acqua che nuota col pistolino di fuori. E poi, cribbio, di In Utero, il più bel disco dei Nirvana, non voleva parlare nessuno. Non era abbastanza cool?
Odiare i grunge per colpa di una certa frustrazione adolescenziale?
Se tutto debba ridursi a un odio per motivi adolescenziali e di vago bullismo, allora perché perdere tempo a “infastidire” un blog (anche se personale, non dimentichiamolo: è il mio blog, anche se tutto è mutevole e in futuro chissà come si evolverà)?
Perché il grunge non era solo rock. Era un qualcosa che si fondava su un malessere non sociale, ma esistenziale, che non era altro che il frutto di un tempo passato da contestare (gli anni 80) che, però, inconsciamente, mancava, perché venuto meno come la Terra sotto i piedi. Due generazioni cresciute con il benessere si ritrovavano in un’era in cui quel benessere era svanito. Questa era la verità. Da qui nasce il senso di depressione del grunge, che non è ribellione al passato, come lo era il punk, ma una rassegnazione, un contorcersi in un esistenzialismo nichilista, triste, tossico e, talvolta, autolesionista. Quel malessere emergeva non solo dalla musica grunge, ma anche dai suoi rappresentanti, che non ho nominato a caso: Kurt Cobain, Chris Cornell e Layne Staley. Morti tutti e tre presto: il primo si è sparato, il secondo impiccato, il terzo devastato di speedball. Ok, non sono le prime rockstar a morire prematuramente, ma le altre sono morte spesso per un “eccesso di vita”, travolte da qualcosa di più grande che non sapevano più gestire. Sarà una semplificazione comunque, perché dietro ogni morte c’è sempre qualcosa di oscuro, anche in chi amava la vita, ma l’essenza del “movimento” grunge è quella di una non vita, di un malessere che non sapresti spiegare mai.
Un senso di tristezza e depressione, quindi, ha sempre caratterizzato questo genere che poteva essere semplice rock di rottura col passato o alternativo e, invece, si è rivelato un boomerang: voleva cancellare gli anni 80, ma alla fine hanno vinto questi, perché sono stati riscoperti e mai davvero se ne sono andati, così come altri periodi, come i ’60 o ’70, rispecchiabili rispettivamente nel Brit Pop o in un certo cantautorato, sempre in quei fugaci anni ’90. Mentre il grunge no, è stata una parentesi, amata forse solo da chi, in fondo, rimpiange la giovinezza e non da chi vede nella musica qualcosa che fa stare solo bene e non ti faccia venire voglia di suicidarti. Un’altra semplificazione, lo so, ciò che ho appena affermato. La musica non è e non deve essere deprimente, ma gioiosa, come tanto rock che il grunge voleva mandare in pensione. Chissà perché, diverse band eclissatesi negli anni ’90, erano poi tornate e sono tutta attive.
Per non parlare dei Rolling Stones, che non hanno smesso mai di suonare e incidere dischi: un vero inno alla vita, loro, che si amino o meno.
Un attimo…preveniamo un’obiezione che può facilmente sorgere in chi leggerà questo articolo: la new wave, tra fine anni ’70 e primi ’80 conteneva spesso atmosfere cupe, grigie (e Ian Curtis non era depresso e non si è suicidato? Sì, ma era devastato da una grave epilessia e da una certa oppressione, anzi, meglio, ottusità, di sua moglie, persona modesta nel peggior senso possibile. Poi esistono sempre delle eccezioni)? Atmosfere cupe, grigie, estetica minimale da revival del Bauhaus, ma non esprimeva assolutamente mal di vivere. C’era sperimentazione ed estetica, nella new wave, e un certo compiacimento. E poi tanti nuovi strumenti musicali e creatività. Un suono cupo di una band della cosiddetta new wave ha sempre suscitato una reazione di eccitazione positiva e non di tristezza.
Il grunge è rock, ma è triste.
Chissà se sono riuscita a spiegarmi e se qualcuno sarà andato oltre al titolo.
E soprattutto: Eddie Vedder solista è magnifico