
Giorgio Poi è il miglior artista musicale italiano dal 2016 circa, sebbene abbia già un discreto e rispettabile passato come cantante della band Vadoinmessico (poi Cairobi), attiva nella prima metà del decennio 2010. Perché miglior artista musicale italiano? Sto forse affermando un’esagerazione? Il mio non è solo un pensiero personale, ma vi sono prove concrete. Questo ragazzo, il cui vero nome è Giorgio Poti e che vive tra Roma e l’estero (ha vissuto a Berlino e Londra per parecchio tempo, se non erro), ha un curriculum musicale di tutto rispetto, non solo come membro di una band che ha girato il mondo in tour, ma anche come autore e produttore, oltre ad essere noto per aver accompagnato di recente in tour i francesi Phoenix. Inserito nel circuito dell’etichetta indie italiana Bomba Dischi, che ha pubblicato il suo disco solista Fa niente nel febbraio 2017, ne è uno degli artisti più prolifici, vantando collaborazioni anche con Fra Quintale, Carl Brave, Francesco De Leo e Colombre, che sono alcuni dei nomi del panorama musicale indipendente italiano degli ultimi anni. Nel 2019 esce il suo nuovo disco, Smog, anticipato dai singoli Vinavil e Stella.
Al di là di tutte queste ottime premesse, Giorgio Poi ha la capacità di distinguersi per via della sua voce, unica e inconfondibile, acuta quasi come quella di un bambino e, proprio per questo, così psichedelica da far sembrare questo ragazzo un alieno con il riverbero in gola. A ciò, va aggiunta una doppia caratteristica delle sue canzoni: 1) testi metafisici e sognanti, accompagnati dalla semplicità di un suono difficile da dimenticare e che ti entra in testa 2) atmosfere che rimandano fortemente a certe sonorità del cantautorato italiano e del prog, tra fine anni ’70 e inizio anni ’80. Tutto ciò si ritrova nel disco Fa niente, nel quale una forte presenza del basso rimanda proprio a quelle atmosfere remote. Non è difficile immaginare L’abbronzatura come colonna sonora di sottofondo di una puntata di Tg2 Dossier con Joe Marrazzo con scenari assolati di un paesaggio del Sud Italia oppure Paracadute come sigla di un programma tv scientifico di quegli anni ormai lontani. Niente di strano, per far un altro esempio, rimanda molto a un Lucio Battisti di passaggio tra quello di Mogol e quello di Panella. I due brani extra, contenuti nel vinile, ossia Il tuo vestito bianco e Semmai, entrano nel pieno degli anni ’70. Per Smog, invece, le sonorità sembrano più virare verso un’elettronica più semplice e diretta. Eppure, le canzoni di Giorgio Poi sono uniche e originali, non somigliano davvero a nessun altra cosa, pur avendo i succitati vaghi richiami.
Nonostante ciò, quando parlo di lui, specie sui social, non ricevo né un Mi piace né un semplice feedback, anche negativo. Un “mi fa cagare” avrebbe il suo eco. Invece no, nulla di nulla. Ignorato nel silenzio più totale. Forse perché l’indie italiano attualmente è visto come qualcosa di cui sparare a zero da parte delle generazioni più mature(compresa la mia, dato che tanti miei coetanei, da tempo, se ne escono con il più becero: “Ai miei tempi…”), ma anche da più giovani, presi o da generi sempreverdi, come il metal o rap oppure dalla modaiolissima trap. Giorgio Poi è un vero artista e forse ancora interessa a pochi perché, in mezzo a tanti sedicenti autori e cantanti che smuovono solo chiacchiere, la discrezione e la professionalità di questo ragazzo non fanno rumore. Ma lui farà strada e di lui si parlerà, eccome. Sempre se lui lo vorrà, perché il coltello dalla parte del manico ce l’ha lui e non i pennivendoli o i gossippari oppure chi di musica non capisce un ciufolo.