
Viene da Brescia e, nella sua musica, ci parla di storie di vita nelle città metropolitane. Questa volta ho il piacere di parlare con Alessia Zappamiglio o, semplicemente, Miglio, cantautrice della scena indie italiana che ha davvero tanto da raccontarci.
Ciao! Allora, partiamo da te: chi è Alessia Zappamiglio? Parlaci di te, partendo dalla scelta del tuo nome d’arte, ossia Miglio, che immagino sia dovuto alla parte finale del tuo cognome.
Si, esattamente, è stata una scelta immediata e semplice. Non ci sono dietro tanti meccanismi, volevo qualcosa che rappresentasse la mia persona.
Il tuo singolo “Pianura Padana”, dai toni pop rock ma strettamente cantautorale nella struttura, dipinge un quadro molto chiaro di una parte della provincia italiana: quella “padana”, della gente che si è fatta da sé, tirando su fabbriche e capannoni, finendo col vivere di lavoro e non lavorando per vivere. Colgo il tuo non amare moltissimo questa realtà oppure mi sbaglio?
Brescia è la città in cui sono nata e cresciuta, è un luogo pieno di contraddizioni, ma con il tempo, ho imparato ad apprezzare i suoi lati buoni. E’ una città moderna, ma molto provinciale sotto certi punti di vista, dedita alle 8 ore e al lavoro duro, ma a volte confinata in certi limiti. Hai colto bene, certamente.

“Pianura Padana” sembra un po’ il punto di arrivo di “Il bar sui binari”(2019), che parla di un amore di provincia e di giovani, dove il bar è un simbolo proprio di un provincialismo all’italiana. Credi che in un “amore trash”, di cui parli proprio in “Il bar sui binari”, ci sia l’essenza dell’Italia di oggi?
L’amore trash di cui parlo è quello che i giovani d’oggi spesso vivono, quello che fa sentire vivi e disorientati (per citare la canzone). Il bar di cui parlo è proprio Lio Bar, un locale storico di Brescia, che per anni ha accolto artisti provenienti da tutta Italia ed è stato simbolo della scena emergente italiana. Un posto decisamente underground che proprio per questo in qualche modo si distingue dal provincialismo all’italiana. Ho solo raccontato una storia di due persone che vogliono vivere liberamente, senza rimanere recintati nelle idee tradizionali.
“Gli uomini elettronici”, del 2018, ha un suono che vira sull’esigenza di urlare qualcosa, si avverte una sorta di disagio che riguarda l’umanità odierna. Alla luce del mondo attuale, così condizionato dal Covid-19, credi che questo “uomo elettronico” possa tornare a essere “uomo in carne e ossa”? Oppure no?
Gli uomini elettronici è un brano uscito quasi due anni fa ma che mai come ora è decisamente attuale. Stiamo vivendo giorni difficili, chiusi tra quattro mura, sempre davanti al computer, alla televisione, allo schermo di un telefono. Costantemente connessi, e forse c’è anche un senso di comunità che sta uscendo fuori in qualche modo. Mi auguro che questo momento così rallentato che stiamo vivendo ci possa consentire di andare un po’ più in profondità e appunto tornare ad essere più umani, rivalutando i contatti veri.

A proposito di Covid-19, tu sei presente nella canzone “Restiamo in casa -18 artisti in solo obiettivo”, che racchiude artisti dell’ultima generazione indie italiana. Il brano esprime anche un disagio legato proprio allo stare a casa. Che ne pensi di queste operazioni collettive di artisti che suonano insieme da casa? Aiutano a sentirsi vivi oppure fanno sentire ancora più isolati?
Credo che abbiano un senso importante quando sono rivolte a scopi collettivi e di buona causa. Come in questo caso. Io credo e sono sostenitrice del concetto di condivisione nella musica, è un aspetto che a volte manca e non percepisco.

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